
Credo dobbiamo tutti ringraziare Michele Serra per aver promosso una manifestazione di piazza “Per l’Europa” in un momento tra i più drammatici della storia del mondo. L’elezione di Trump alla Casa Bianca e i primi atti della nuova Amministrazione USA hanno messo in rilievo la distanza - che oggi appare a tratti incolmabile - tra le due sponde dell’Atlantico e hanno reso gli interrogativi sul futuro e il ruolo dell’Europa terribilmente urgenti. Non c’è più solo la Russia di Putin che aggredisce un Paese sovrano ai confini dell’Europa e minaccia di voler ridisegnare la mappa del mondo con la logica delle armi e in spregio al diritto internazionale. Ora c’è anche lo tsunami Trump che non nasconde il disinteresse ai limiti del disprezzo per i partner europei e occidentali, minaccia nuove guerre commerciali e prefigura - pur nella sua imprevedibilità - un nuovo ordine mondiale fondato non più sul multilateralismo e le istituzioni internazionali ma sulla forza e la potenza economica. Non può sfuggire che tutto questo avviene mentre, accanto all’avanzata dei nazionalismi, i giganti globali del capitalismo tecnologico dell’era digitale hanno conquistato un potere che va ben al di là dello spazio economico e influenzano sempre di più la sfera politica, corrodendo così i caratteri delle democrazie liberali.
I Paesi dell’Unione arrivano a discutere di sicurezza e difesa comune, politica estera comune e autonomia strategica con colpevole ritardo, quando l’ombrello americano si sta già chiudendo e la stessa NATO sembra un’alleanza destinata a funzionare sempre meno. Neppure la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina tre anni fa è stata sufficiente per far compiere all’Unione Europea passi avanti concreti significativi verso la politica estera e di sicurezza comune. Peraltro questa discussione avviene mentre in Europa la voce delle forze sovraniste e di destra è divenuta più influente di prima.
Soltanto così può spiegarsi il Piano della Presidente della Commissione Von Der Leyen che, al di la’ del titolo inutilmente brutale, apre la strada ad un sostanzioso incremento delle spese per la difesa da parte dei 27 Stati membri senza però indicare come priorità la strada della difesa comune. Con il Libro Bianco per la difesa l’Europa ha avviato un percorso importante che noi attendevamo da anni ma il Piano non va nella direzione giusta, anzi può complicare le cose proprio per la realizzazione di un sistema di difesa europeo. Non possiamo infatti sottovalutare il rischio che il riarmo dei singoli stati nazionali, senza alcuna condizionalita’, finisca in realtà per allontanare la prospettiva di una vera difesa comune, fatta di interoperabilità degli strumenti militari, di una sempre più stretta collaborazione tra intelligence, di cooperazione strategica sul piano della ricerca, delle tecnologie e dell’industria della difesa, di un vero esercito comune europeo. Perché per procedere lungo questa strada - e prepararsi a rispondere in maniera autonoma alle minacce alla pace e alla sicurezza che il nostro continente è chiamato a fronteggiare - è necessaria la volontà politica di condividere scelte e decisioni che oggi sono prerogative dei singoli governi.
Proprio perché da anni ci battiamo per la difesa comune, anche nel contesto dei Socialisti e Democratici europei oltre che nel Parlamento UE, abbiamo voluto segnalare queste criticità. E il nostro voto di astensione significa che ci batteremo in tutte le sedi nazionali ed europee perché avanzi un'azione concreta, incisiva a livello progettuale e operativo, per una difesa comune europea, efficiente, efficace e capace di essere una colonna della costruzione europea necessaria nel nuovo contesto.
Un voto coerente, peraltro, con una discussione che avevamo fatto pochi giorni prima in un’importante riunione della Direzione Nazionale conclusasi con l’approvazione della relazione della Segretaria. Avremo modo in altra sede di discutere sulle ragioni di quella brutta divisione all’interno della nostra delegazione europea.
Ma torniamo all’Europa, all’Europa che vorremmo e ancora non c’è. E torniamo alla piazza: cosa ci unisce? L’idea che sia possibile e necessaria una nuova Europa politica, capace di tenere insieme pace e diplomazia, capace di rinnovare il suo modello sociale e di sviluppo di fronte alle sfide nuove della rivoluzione digitale e della transizione ecologica.
Altro merito della manifestazione di domani è quello di aver sollecitato un dibattito tra diversi esponenti della cultura e della politica. Un dibattito in cui, vivaddio, sono emerse anche opinioni diverse ma di cui c’è un enorme bisogno.
Qualche giorno fa lo scrittore Javier Cercas concludeva una sua riflessione con queste parole: “ e se il mondo stesse aspettando l’Europa? E se avesse bisogno di noi molto più di quanto immaginiamo? Arancha González Laya, ex ministra degli Esteri, l’ha detto così: «Ci sono molti Paesi che si sentono già orfani e bisognosi di un partner stabile e serio come l’Ue, che è un’isola di stabilità e affidabilità di fronte a questi Stati Uniti che sono oggi l’epicentro dell’instabilità geopolitica globale».
Il XX secolo è stato degli Stati Uniti; il XXI forse non lo sarà: Trump è il sintomo di una decadenza in incubazione da anni. Chi dominerà il futuro? Lo spietato autoritarismo cinese o l’Europa con la sua democrazia, con il suo welfare e il suo ordine internazionale basato sulle regole? Che cosa preferisce il mondo? Che cosa preferisce lei?” Ecco già condividere queste domande credo sia sufficiente per essere in piazza con le bandiere blu e le stelle gialle.